«La risurrezione di Gesù è come la prima eruzione di un vulcano. Essa mostra che all’interno del mondo già brucia il fuoco di Dio, che ricondurrà ogni cosa nell’ardore della sua luce». Citando queste parole del teologo Karl Rahner, Carlo Maria Martini apriva la sua omelia durante la Messa in Duomo nel giorno di Pasqua, il 23 aprile 2000. Pubblichiamo di seguito il testo integrale dell’omelia, tratta dal nostro Archivio, come occasione per proseguire e approfondire la riflessione in questo tempo di Pasqua. A questo link è disponibile il dattiloscritto originale.

 

Il grande vulcano
dell’amore di Dio per l’uomo

 

 

Il fuoco di Dio

«La risurrezione di Gesù è come la prima eruzione di un vulcano. Essa mostra che all’interno del mondo già brucia il fuoco di Dio, che ricondurrà ogni cosa nell’ardore della sua luce». Con queste parole uno dei più grandi teologi del secolo scorso, Karl Rahner, invitava a cogliere nell’annuncio della risurrezione di Gesù di Nazaret, che rinnoviamo oggi, giorno di Pasqua, un segno di qualcosa che riguarda il mondo intero e tutta la storia.

Il mondo intero è segnato dalla morte, e per convincercene basta la nostra esperienza quotidiana. Ma dal giorno della risurrezione di Gesù il mondo è pure sotto il segno della risurrezione e della vita, anche se per ora ne emergono solo piccoli segni. Accorgersi di tali segni, collegarli e interpretarli alla luce di un messaggio globale è il compito che viene affidato a ciascuno di noi, che ogni festa pasquale ci rimette nelle mani. Ciò avviene in modo del tutto speciale in questo nuovo inizio di millennio: siamo chiamati ad annunciare alle generazioni del terzo millennio che il grande vulcano dell’amore di Dio per l’uomo gli prepara un destino di vita e che queste forze di vita già operano in mezzo a noi.

Tuttavia il riconoscimento della vera natura della nostra storia, della corrente sotterranea di vita che sta sotto le parvenze di morte della nostra vicenda terrena, è un riconoscimento che chiede un processo, un cammino con delle tappe successive. E un tipo di cammino ci è appunto indicato dal brano evangelico di Giovanni, che racconta l’incontro di Maria Maddalena con Gesù risorto e il progressivo riconoscimento che ella fa di lui.

Le quattro tappe del cammino di riconoscimento

L’evangelista delinea un itinerario in quattro tappe.

  • La prima è la presa di coscienza del mistero della morte, ed è resa presente nel pianto della donna: «Maria stava all’esterno vicino al sepolcro e piangeva». Il sepolcro è il segno della condizione di morte che tocca ogni persona umana e ogni essere vivente. Il pianto è il riconoscimento doloroso di questa fatalità umana. Molti di noi hanno paura di un tale pianto, preferiscono non piangere, o piangere il meno possibile o non far vedere che piangono. Sono tanti i modi per consolarsi e distogliere il pensiero dalla fragilità della condizione creaturale. Paradossalmente, uno dei modi è quello di fare della morte uno spettacolo: guardarla a teatro o in televisione, guardarla addirittura nei documentari dal vero delle guerre e delle uccisioni che funestano quotidianamente le nostre cronache. Guardarla e non soffrirne se non a livello epidermico, consolandosi col pensiero subconscio che tutto ciò tocca gli altri, non me.Invece Maria Maddalena, al sepolcro, mostra con il suo pianto inconsolabile che la morte di un altro, la morte del suo Signore e Maestro, la tocca profondamente, la ferisce in maniera umanamente inguaribile. Anche Gesù, del resto, aveva pianto di fronte alla tomba dell’amico Lazzaro. Il pianto è protesta contro la morte che non dovrebbe esserci, che sconcerta e sconquassa tutti i calcoli e tutte le previsioni, che introduce nel dipanarsi della storia una frattura che rompe continuamente i già precari equilibri di questo mondo.
  • Il guardare in faccia la morte è per Maria soltanto il primo momento del riconoscimento del Risorto. Il passo ulteriore è il comunicare con altri, con i due esseri celesti che stanno sul sepolcro, non solo lo smarrimento ma pure la sua interiore intuizione che non ci si può rassegnare del tutto alla morte, che è pur necessario un filo di speranza. Maria non sa neppure di che genere sia tale speranza; apparentemente è quella di ritrovare almeno il corpo morto del Signore per onorarlo ungendolo di profumi. Sotto a ciò sta però quel non rassegnarsi del tutto alla morte che fa parte della dignità e della grandezza dell’uomo in quanto rivela il germe di speranza che lo Spirito santo non lascia mancare nel fondo del nostro cuore. Chi non crede in Dio né nella vita eterna può dare talora l’impressione di aver raggiunto una certa rassegnazione stoica, una certa apatia di fronte all’evento inevitabile della morte; e non si può negare che appare in questo una qualche grandezza, una qualche forza e nobiltà d’animo. In realtà è assai più nobile e più vero non rassegnarsi, protestare di fronte alla morte, come fa Giobbe nella sua lunga lotta con Dio. Perché ciò rivela che al di sotto di ogni attesa umana vi è un’apertura di fondo che invoca un destino più grande di una vita spezzata, di una fine inevitabile e definitiva.Maria Maddalena esprime dunque l’anelito insopprimibile dell’uomo e della donna che non si rassegnano alla morte, né alla loro propria, né alla morte dei parenti e degli amici, e tale anelito è come la premessa per il terzo momento della scena: l’incontro con Gesù risorto.
  • Giunti a questo punto della narrazione, non finiamo di stupirci per il fatto che la Maddalena, dopo aver tanto desiderato di vedere il Signore, lo veda e non lo riconosca. C’è qui un profondo mistero. Non basta incontrare il Signore vivente, non basta vedere con gli occhi del corpo i segni della sua risurrezione. C’è sempre la possibilità di equivocare i segni del Risorto nella storia, così come Maria di Magdala scambia il Maestro per il custode del giardino. I segni del Risorto sono diffusi a piene mani nel mondo, ma il riconoscerli è grazia, così come la risurrezione della nostra carne – a cui pure aneliamo – è grazia, pura grazia.
  • Nel racconto tale grazia è indicata dalla parola di Gesù che chiama per nome: «Gesù le disse: “Maria!”. Essa allora voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: “Rabbuni!” che significa: “Maestro!”».
    Occorre dunque essere chiamati dal Signore, riconoscere la sua voce. E la voce del Risorto ci chiama in tutte le circostanze e gli incontri della vita in cui chi è aperto alla fede può leggere un vestigio, un tocco dello splendore del Cristo risorto. Ogni incontro con esempi di vera gratuità, di eroica santità, di sincera dedizione, ogni ascolto della parola di Dio al quale fa eco la parola interiore dello Spirito santo, ogni celebrazione religiosa – come questa della Pasqua – vissuta con apertura del cuore al mistero espresso dai simboli sacri, ogni gesto che emana una profonda e inconfondibile verità (penso per esempio ai gesti di umiltà, di amore e di pace compiuti dal Papa nel suo recente pellegrinaggio a Gerusalemme, in particolare il suo chinarsi e baciare la pietra del sepolcro di Gesù, la sua deplorazione della Shoah presso il memoriale dell’Olocausto, la sua richiesta di perdono presso il Muro del pianto) è un segno che ci fa fremere interiormente di gioia e di speranza e lascia trasparire la presenza di colui che è risorto da morte e ci chiama per nome, la presenza di Gesù nostro fratello e Figlio di Dio.
    Vorrei specificare ancora meglio e più ampiamente la mia affermazione. Non è solo nei segni sacri, appartenenti alla sfera del religioso, che possiamo intuire qualcosa del Cristo risorto. Anche in segni profani, dove Dio non è nominato, può trasparire qualcosa della speranza e dell’attesa che fa fremere il mondo. Karl Rahner scrive che «chi ha preso una decisione morale buona per la vita e per la morte, in maniera radicale e non addolcita, sì che da essa non derivi a lui assolutamente nulla all’infuori della bontà accettata e vissuta di questa stessa decisione, costui ha già sperimentato» qualcosa che ha a che fare con la speranza di una vita eterna, qualcosa che trova nella risurrezione di Gesù la sua conferma e la sua verifica ultima.
    Ogni decisione che supera i limiti del tempo è già una fiammella di quel vulcano che arde sotto le apparenze di questo mondo.

Conclusione

Ciò che annunciamo, cioè che Cristo è veramente risorto, non è quindi solo un evento accaduto duemila anni fa: è la chiave che apre al senso di tutta la storia umana. È una esperienza di vita che ciascuno di noi può sperimentare nel suo intimo e in mille contatti della vita, che trovano nella risurrezione di Gesù e nella effusione dello Spirito santo la loro radice e la loro spiegazione ultima. Con tale certezza e con tale fiducia ci auguriamo di cuore tutti una buona Pasqua, una gioiosa Pasqua di risurrezione.

Omelia nel giorno di Pasqua Duomo, 23 aprile 2000

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