Mi torna in mente Martini
Tra presenze all’interno e all’esterno sulla grande spiazzo antistante il Duomo ci saranno state almeno ventimila persone. Come un fiume lento e silenzioso che inonda il cuore della città, un fiume di credenti e non credenti, e in quella fiumana scorgo anche una pattuglia, visibilmente commossa, di protestanti. Siamo qui anche noi a salutare un uomo credente di cultura e grande sensibilità che ha saputo stare, per ventidue anni, «dentro» la città servendola e stimolandola con intelligenza nella sua perenne ricerca di senso.La liturgia funebre che si svolge in Duomo è complessa (per la mia sensibilità la trovai esageratamente pomposa, eccessiva). Per permettere di seguire i vari passaggi della liturgia venne consegnato un opuscoletto di una trentina di pagine. Con testi biblici e preghiere di suffragio. Tutto era grandioso, solenne. Ero seduto accanto ai rappresentanti del Consiglio delle chiese cristiane di Milano, organismo che Martini stesso volle e che inaugurò – ormai quindici anni fa – con i partner ecumenici, predicando proprio nel tempio valdese.Il cardinale Scola ad un certo punto nella sua omelia, ripercorrendo la parabola teologica di Martini biblista e uomo di grande spiritualità, sottolinea, tra le altre cose, la spiccata «sensibilità ecumenica e quella per il dialogo interreligioso, la cura che Martini aveva per i poveri, i più bisognosi, la sua ricerca di vie di riconciliazione….».E proprio questo tema della riconciliazione mi ha mentalmente rinviato alle intense giornate di Graz (Austria), nel giugno del 1997, quando, in occasione della Seconda assemblea ecumenica europea ebbi modo d’ incontrare il cardinale Martini. Utilizzai in seguito stralci della conversazione che ebbi con lui per scrivere un articolo che apparve su Riforma (n. 28/97) intorno ai temi della «riconciliazione delle memorie». Un tema quest’ultimo, mi accorsi fin da subito, che lo appassionava. Mi disse, a proposito della questione di come e quando riconciliare le reciproche memorie storiche, che sarebbe stato importante, sulle varie sponde confessionali, istituire «gruppi di studio che, al di là dei miti e delle semplificazioni, esaminassero i documenti storici del passato per ricostruire problematiche che non si possono eliminare solo perché sono dolorose da ricordare». E fu lungo quel nostro discorrere passeggiando tra gli stand dell’Assemblea ecumenica europea di Graz. Camminava volentieri, con molta calma. Abbiamo fatto almeno un paio di chilometri insieme. La conversazione fu infiorettata anche da qualche battuta sulla cittadina di Cavour, nel pinerolese, che lui conosceva bene. Mi pare di ricordare che ci andasse in vacanza da ragazzino. Gli rivolsi, scherzosamente, qualche battuta in piemontese che simpaticamente ricambiò. Quella sera in camera annotai sul mio taccuino: «Martini più che il raffinato stratega di politiche ecclesiali mi sembra un credente sinceramente e totalmente coinvolto dall’evangelo. Milano non è Roma».
Da allora di acqua sotto i ponti ne è passata. L’entusiasmo delle assemblee ecumeniche di Basilea «Pace nella giustizia» (1989) e poi di Graz (1997) «Riconciliazione : dono di Dio e sorgente di vita nuova» raccontano che tutto può di nuovo ripartire sul terreno ecumenico con la stessa energia di quegli anni. Ma quella spinta propulsiva che Martini aveva decisamente contribuito ad imprimere all’ecumenismo e al dialogo (tra credenti e non credenti) sembra, oggi, aver esaurito progressivamente la sua forza (ma spero di sbagliarmi).
Sino all’ultimo giorno Martini ha offerto stimoli importanti per la coscienza civile (ricordo, per fare un solo esempio le sue profonde conversazioni con il non credente Eugenio Scalfari) e nei confronti delle chiese a cominciare dalla sua. Prima di guardare nel piatto degli altri guardava nel suo. La nipote accanto al suo letto di morte ha osservato: «
…quando non ce l’hai fatta più hai chiesto di essere addormentato». E così è stato. Su di lui, come protestanti milanesi, svolgemmo una prima nostra riflessione a caldo che si concludeva, con una formula cara a Martini e che, nell’ebraismo, accompagna la speranza della risurrezione: Sia la sua memoria di benedizione.
All’annunzio della sua morte il 31 agosto 2012 ricordo che nel Sinodo valdese piombò un lungo silenzio. Come se quell’aula gremita realizzasse d’aver perso un compagno di un cammino lungo e tortuoso. O forse d’aver smarrito un riferimento di apertura, di rinnovamento nella stagione della stagnazione ecumenica dove la brezza dello spirito ha ceduto, ormai da troppo tempo, il posto alla bonaccia. O forse tutti e due. Per me quel silenzio veicolato dalla morte di quell’uomo di fede parlò alle coscienze molto più delle dichiarazioni successive di sincero cordoglio. Ritengo che per molti tra noi quel silenzio spontaneo che calò sul nostro Sinodo a Torre Pellice, nel cuore delle Valli valdesi, fu percepito – da molti – come l’ultimo contributo di Martini nel laboratorio ecumenico italiano.
Era un silenzio fatto di ascolto, riflessione, incontro con Dio e con noi stessi: cose per le quali ha vissuto, per le quali anche noi viviamo, anche se con opzioni diverse. E in questa diversità sta l’inesauribile ricchezza di un evangelo che quando acchiappa non ci molla più.